Intervistiamo

Cassazione, l’impiegata insulta il capo? No al licenziamento se è la prima offesa

Mandare a quel paese il capo si può. Purché avvenga una tantum. E a farlo sia un ”impiegato modello”. La licenza, a patto che sia «di carattere episodico», arriva dalla Cassazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso di una casa di cura di Catanzaro, che aveva licenziato una dipendente ”colpevole” di alcune intemperanze e di avere usato espressioni offensive nei confronti di un superiore. Secondo la Cassazione (sezione lavoro, sentenza 3042) «un comportamento, per quanto grave, se ha carattere episodico e se è riconducibile a un dipendente che non ha mai dato luogo a censure comportamentali, non può arrivare a un giudizio di particolare gravità» tale da determinare il licenziamento.

La Suprema Corte ha così confermato il reintegro nel posto di lavoro di Aurora P., che era stata licenziata dalla casa di cura il 29 ottobre del 2002. La donna aveva ricevuto una ”nota di contestazione” dal datore di lavoro: le si rimproverava di essere rientrata in servizio senza autorizzazione in un periodo di congedo e, soprattutto, di avere pronunciato, in quell’occasione, «espressioni offensive nei confronti di un superiore». Aurora P. era ”accusata” anche di avere ricostruito in maniera non veritiera i fatti in sede di audizione. 
Cacciata dall’azienda, la donna si era rivolta alla giustizia ed era stata reintegrata. Sia in primo grado, dal giudice del lavoro, sia, in secondo grado, dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Adesso si è rivelato inutile il ricorso della casa di cura alla sezione lavoro della Cassazione. 

Gli avvocati dell’azienda puntavano a dimostrare che le intemperanze della dipendente meritassero il licenziamento disciplinare. Ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso, sottolineando che la sentenza impugnata «è particolarmente diffusa per escludere che quei fatti, in via generale punibili con sanzione conservativa, ricoprissero quel carattere di particolare gravità che giustificherebbe il licenziamento». 

In definitiva, conclude Piazza Cavour, un lavoratore modello, «per quanto possa avere sul posto di lavoro un comportamento grave», se è di «carattere episodico» non merita di essere cacciato.
E non è la prima volta. L’anno scorso proprio la Cassazione aveva dato ragione al collaboratore di uno studio legale che, commentando una nota inviata dall’ufficio contabilità alle segretarie, aveva definito «pazzo» il capo e «lecca c..» i colleghi. La faccenda era finita in Tribunale con una querela presentata dai soggetti insultati. Ma la Corte, alla fine, ha accolto le argomentazioni dell’imputato che sosteneva di avere utilizzato quelle espressioni, non per offendere, ma come termini di uso comune per criticare l’assurda burocrazia di un luogo di lavoro, accettata passivamente dagli altri dipendenti. E alla fine i giudici gli avevano dato ragione, attribuendo agli insulti anche una valenza «costruttiva». Perché, hanno sostenuto, il termine «pazzo» ha finito col perdere la sua «valenza offensiva per diventare espressione sintetica ed efficace rappresentativa di una condizione scorretta dell’ufficio», che potrebbe portarlo alla rovina.

di Valentina Errante (il messaggero.it)

Autore

Salvatore Ferragina

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