Catanzaro Night News

‘Ndrangheta, la Polveriera jonica, diciannove morti in meno di due anni

L’assetto ‘ndranghetistico nell’area compresa tra la Locride e il Crotonese è in evoluzione. Le carte di Mythos. Il locale di Soverato.

La sua era una devozione di vecchia data e nota a molti. Tra i pellegrini che a fine settembre raggiungono da mezza Calabria il santuario di Cosma e Damiano, a Riace, c’era spesso anche lui. Carcere, latitanza e faida permettendo. Da tempo non si doveva più guardare le spalle. Da quando, complice l’estinzione a colpi di fucile dei nemici, gli anni bui della vecchia guerra dei boschi avevano lasciato il posto ad una pax che aveva sancito seduto al tavolo dei vincitori. Nella mattanza aveva perso uno zio e un fratello, dalla mattanza era uscito come incontrastato boss delle Serre, con interessi ed alleanze sparse da un versante all’altro della Calabria. Il 27 settembre 2009 lo hanno ammazzato a una decina di metri dal santuario, nell’ultimo giorno dei festeggiamenti in onore dei Santi medici, mentre il sacerdote dentro la chiesa stava ancora officiando la messa. Il boss dei “viperari” Damiano Vallelunga è morto sotto una pioggia fitta di inizio autunno a pochi passi dalla Golf con cui da Serra San Bruno, nel Vibonese, aveva quel giorno raggiunto insieme con la moglie Riace, sul versante jonico del Reggino. Si saprà dopo che l’auto usata dai due killer era stata rubata a Guardavalle, nel Basso Jonio catanzarese. Un agguato all’incrocio di tre province calabresi. Un altro “pezzo da novanta” e alleato storico di Vallelunga era caduto poco più di un anno prima. Credeva, anche quello, di non doversi guardare le spalle. Quando fu ammazzato, il 14 luglio 2008, Carmelo “Nuzzo” Novella stava giocando a carte nel bar “Reduci e combattenti” di San Vittore Olona, nel Milanese, dove da sorvegliato speciale viveva da meno di un anno con l’obbligo di dimora. Aveva 58 anni, qualche mese prima gli avevano confiscati beni per cinque milioni di euro (compresa una chiesa bizantina sconsacrata) e ora viveva a migliaia di chilometri da Guardavalle dov’era nato e aveva “regnato” sedendo allo stesso tavolo dei più importanti boss calabresi. Carcere, latitanza e faida permettendo. Il suo presunto assassino – Antonino Belnome, 38 anni, stazza da gigante – l’hanno fermato a luglio in una casa popolare nella frazione marina del piccolo centro calabrese. Per gli investigatori la circostanza non è per nulla casuale. Belnome è ritenuto guardaspalle e uomo di fiducia di Vincenzo Gallace che con Novella si era spartito per anni il controllo sul comprensorio di Guardavalle e che oggi risulta indagato nell’inchiesta “Crimine” della Dda di Milano come mandante del suo omicidio.

Nelle carte di Mythos – La fascia jonica, dicono oggi gli inquirenti rileggendo vecchie inchieste e dichiarazioni di pentiti, era da tempo una polveriera sul punto di deflagrare. L’ha fatto negli ultimi due anni travolgendo storici capibastone, boss emergenti e gregari sulla vecchia linea criminale che dalla Locride arriva al Crotonese attraversando tutta la fascia costiera catanzarese. Dal 31 gennaio 2008, giorno in cui cade a colpi di mitraglietta calibro 9 e fucile caricato a pallettoni il boss di Vallefiorita Vito Tolone, i morti sono stati diciannove disseminati sul territorio di tre diverse province calabresi (Vibo, Reggio, Catanzaro). Come nella vecchia faida dei boschi, richiamata subito alla memoria da investigatori e cronisti, ma questa volta i boscaioli non c’entrano. E neppure logiche ciecamente vendicative da faida. Qualcuno sta provando, con metodo scientifico, a rivoltare l’assetto ‘ndranghetistico della zona a colpi di armi da guerra. Nel mirino protagonisti e comprimari della criminalità locale, personaggi già finiti al centro di attività investigative. A partire da Vito Tolone, infatti, l’elenco dei morti ammazzati è sovrapponibile alla lista degli indagati nell’inchiesta “Mythos” con cui nella notte tra il 21 e il 22 settembre 2004, dopo tre anni di indagini, la Dda di Catanzaro colpì la criminalità organizzata del Soveratese, scoperchiando le sue fitte ramificazioni sulla costa laziale (Anzio e Nettuno) e in Lombardia (soprattutto a Rho e Legnano). Nelle 81 ordinanze di custodia cautelare richieste dal sostituto procuratore della Repubblica Gerardo Dominijanni venivano contestati, tra i circa 278 reati complessivi, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, l’estorsione, il traffico internazionale d’armi – fatte giungere in Calabria dalla Svizzera – e di sostanze stupefacenti, la violazione in materia di aggiudicazione ed esecuzione di a ppalti pubblici attraverso l’infiltrazione capillare nelle locali amministrazioni comunali (Guardavalle e Santa Caterina sullo Ionio). Al vertice dell’associazione, in posizione paritaria, i due boss di Guardavalle Carmelo “Nuzzo” Novella (che riesce inizialmente a sottrarsi alla maxi-retata, finendo catturato cinque mesi dopo nel Crotonese) e Vincenzo “Cenzu” Gallace. I due alleati hanno la stessa caratura – anche se Novella, che si fregia della carica “crimine di Cirò”, è di fatto il responsabile e rappresentante dell’intera area criminale jonica – godono di un’ampia rete di relazioni che vanno dal Vibonese al Reggino e vivono entrambi in un paese di 6mila abitanti, al confine meridionale del versante jonico catanzarese. Troppo vicini per non darsi, primo o poi, reciproco fastidio. E infatti Novella, che aveva forse colto certi segnali di insofferenza (Gallace, a quanto pare, lo accusava di essere riuscito a sfugg ire agli arresti di Mythos perchè informato della retata), una volta uscito dal carcere di Voghera (15 agosto 2007) preferirà risiedere nel Milanese, convinto evidentemente di poter godere di maggiore libertà di manovra mettendosi alla testa dei locali insediati da anni all’ombra della Madunina. Un errore. Secondo quanto emerso nell’inchiesta “Crimine”, saranno proprio alcuni affiliati della Lombardia a chiedere l’intervento della “madrepatria” per frenare le sue mire indipendentistiche. Il “licenziamento” definitivo da parte dl Tribunale della ‘ndrangheta è dietro l’angolo. Nel frattempo, però, l’esilio volontario dalla Calabria finisce per rafforzare la posizione di chi è rimasto a Guardavalle, a controllare da vicino affari e dinamiche. Le distanze, non solo geografiche, si acuiscono. Nell’inchiesta Mythos compaiono già i primi riferimenti a dissidi tra gli (ex) soci. Una successiva informativa dei carabinieri si spingerà oltre, permettendo di cogliere anticipi di guerra in tempo di pace. Gli arresti del 2004, infatti, avevano aggravato la spaccatura in seno alla cosca di Guardavalle, attraversata da non poche frizioni anche per la comparsa sullo scacchiere criminale della zona di nuovi, smaniosi protagonisti. Pesante, infine, il ruolo giocato dalle cosche della Locride, con i Ruga (Monasterace), gli Aquino (Marina di Gioiosa Jonica), i Cordì (Locri) e i Commisso (Siderno) accanto a Vincenzo Gallace, considerato il garante dei loro affari nel Soveratese (traffico di droga, in primis), e i Costa, usciti sconfitti dalla faida di Siderno con i Commisso, desiderosi di ricostruirsi una posizione aprendo un canale di alleanze ed affari in una zona ricca di potenzialità. Le armi, come spesso avviene, hanno preceduto gli arresti.

Il locale di Soverato – Quando all’alba dello scorso 22 giugno la procura di Catanzaro fa scattare l’operazione “Mithos 2″ quattro dei 46 indagati (Vittorio Sia, Pietro Chiefari, Nicola Grattà e Giuseppe Todaro) sono già stati ammazzati nella nuova guerra. Contro Vittorio Sia, in particolare, il 22 aprile a Soverato superiore avevano scaricato trenta colpi di kalashnikov. Un trattamento da boss per chi boss voleva farsi a discapito dei vecchi padroni della zona. Secondo gli inquirenti, Sia avrebbe infatti tentato di promuovere a Soverato un’entità mafiosa autonoma – coalizzando attorno a sè – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Catanzaro – alcuni adepti e stabilendo (o confermando) alleanze con analoghi gruppi mafiosi del Reggino (famiglia Costa di Siderno), del basso jonio soveratese (Lentini di Davoli, Novella di Guardavalle) e del Vibonese (famiglia Vallelunga di Ser ra San Bruno). Ciò in aperto contrasto con altra fazione storica del gruppo mafioso di Guardavalle, i Gallace, la cui influenza abbraccia gran parte del litorale jonico soveratese”. Dunque, un tentativo autonomistico che avrebbe incrociato il desiderio di espansione di una cosca del Reggino (Costa). Uscito indenne da una sfilza di processi per omicidio e associazione a delinquere, socio del narcotrafficante libanese Khaled Bayan (conosciuto come “Carlo il Libanese”) e uomo del boss Tommaso Costa nel Foggiano e in Lombardia dove per anni si sarebbe rifornito di droga, armi ed esplosivo, Sia aveva deciso che per Soverato era finalmente arrivato il tempo dell’autonomia criminale. Basta dover rendere conto per ogni appalto a quelli di Guardavalle, soprattutto ora che Nuzzo Novella riposa al camposanto e i suoi fedelissimi sono rimasti senza una guida. Un progetto ambizioso ed evidentemente mal digerito da chi nella “perla dello Jonio” era abituato a fare da sempre i propri comodi e non aveva alcuna intenzione di recedere di un solo passo. “Viene a dire a me… ma quale cristianazzo, quale locale hai aperto tu che a Soverato non hai niente, dove sono questi cristiani?”, si sfoga già nel 2002 un fedelissimo di Gallace parlando sprezzante di Sia che “si sta piazzando a Soverato”. Il tentativo sarà stroncato in modo plateale e definitivo. Cade Sia, cadono responsabili di zona e picciotti. Quello di Soverato è però solo uno dei fronti caldi della nuova guerra. Difficile per gli inquirenti ricostruire tutte le trame di un botta e risposta che insanguina l’intero comprensorio: la mappa degli omicidi e dei tentati omicidi si estende, infatti, dai piccoli centri della costa all’entroterra. E non favorisce certo la comprensione delle dinamiche in atto la parcellizzazione delle indagini per ragioni di competenza territoriale, con le procure di Reggio Calabria e Catanzaro impegnat e a ricomporre ciascuna i propri pezzi di un puzzle che non riconosce confini provinciali. A Reggio come a Catanzaro, però, sono tutti d’accordo nell’individuare in Guardavalle l’epicentro e nella morte di Carmelo Novella la scossa capace di rompere un fragile equilibrio, facendo saltare tregue faticosamente raggiunte dai boschi delle Serre ai villaggi turistici di Soverato. Esplosi in Lombardia, di fatto i due colpi di pistola contro il boss di Guardavalle sono stati caricati in Calabria ed in Calabria continuano a rimbombare, confusi nell’eco dei nuovi spari che stanno ridisegnando l’assetto criminale del comprensorio di Guardavalle. Come quelli che hanno fulminato il capo dei “viperari” Damiano Vallelunga, per anni garante dell’alleanza tra i Novella e i Gallace e, una volta scomparso Carmelo Novella, assassinato in un territorio di competenza delle cosche reggine (i Ruga di Monasterace) con il killer arrivato a bordo di un& #8217;auto rubata a Guardavalle. Abbastanza per supporre l’esistenza di una vasta rete di responsabilità e supporti logistici, con l’obiettivo di imporre un ricambio ai vertici della criminalità locale.

 

di Francesca Chirico (Narcomafie, settembre 2010)

Autore

Tony Marchese

Scrivi un commento