Dalla Curva

Vinciamo noi

Scritto da Fabrizio Scarfone
Squadra indecorosa e società imbarazzante ma Roma ci restituisce la passione dei nostri tifosi
di Giuseppe Corasaniti

 

L’entusiasmo. Quello al Flaminio proprio non mancava. E’ inutile nascondersi dietro un dito: quando la speranza di poter raggiungere l’obiettivo per la scalata verso serie superiori, diventa sempre più realtà, il tifoso giallorosso puntualmente viene travolto dalla necessità vitale e sanguigna di dover incitare 11 persone che corrono dietro a un pallone. Anche se in teoria dovremmo esser già falliti. Anche se la bile è esplosa già da tempo. Anche se in molti sdegnati e per ovvi motivi, disertano da tanto.

 “Non vedevo il Catanzaro da Ascoli, mi vestivi puru alla stessa manera, compresu i mutandi, avera e portara bonu”

Le ultime parole famose nella processione per l’ingresso in curva. Sapientemente è stato fatto di tutto per dividere la tifoseria, nonostante si avesse a disposizione qualcosa che da anni, nelle varie trasferte, non si vede più: uno stadio con una curva degna di esser chiamata tale e che norme discutibili, hanno vietato di goderci tutti insieme. Di sicuro, quelli che a malincuore sono finiti in tribuna, non avranno il problema di dover star lì a spiegare nei prossimi giorni, come mai si ha una splendida abbronzatura ad evidenziatore che caratterizza la parte sinistra del corpo, collo in primis. Vedere l’erbetta così vicina e l’intero rettangolo di gioco così nitidamente aumenta la voglia di scalata alla categorie superiori che ci competono. Per non parlare del tabellone luminoso, da molti visto esclusivamente in televisione.

 “Chi minutu è, quantu manca?”-“Su tri uri chi tu dicu: u vidi ca c’è u tabellona? E’ scrittu tuttu da!”-”Non su abituatu, scusami”

Inizia la partita. Lo speaker cerca di sovrastare il boato giallorosso alzando il volume al limite distorsione casse: impresa fallita. A un minuto dall’inizio, nella bolgia più assoluta parte la prima osservazione tattica: “Simu misi boni in campu, dassamu ma si sfoganu ca mo cominciamu a iocara e ‘nda facimu dui”. Al terzo minuto, la stessa persona ”Aialà simu fermi do tuttu! Duva avimu e ira, ‘nda pigghiamu dui”. I cori sono sostenuti, ma i nostri in campo sembrano non avere la stessa grinta. Vono sbaglia l’uscita: ”Ma si pacciu? Chi volivi ma fai, non potimu pigghiara goal accussì” e il vicino “Ha poca esperienza, è bravu ma pè sti partiti ci vo Mancin…” dall’uscita spericolata ne consegue un angolo e Vono si supera respingendo una palla ormai dentro ”…elli!!! Si u numeru unu Vono! Atru ca Mancinelli senza capelli!”.

La partita prende una brutta piega, troppo brutta, i cori si disuniscono e le unghie delle mani, in mancanza di soppressate, hanno la meglio. Al primo goal di Ciofani: “Ma com’è possibila ca chidu pistuna e du metri fa nu schifu e goal e testa?” educatamente si fa notare “Forse proprio perché essendo alto così, è quasi d’obbligo per un centravanti sfruttare bene questa dote”. Passa qualche secondo da quella risposta tecnicamente sensata: ”Sì, effettivamenta è forta, u tavuluna ficia nu gollazzu imparabile”.

La magra prestazione e il secondo goal, lascia ammutoliti un po’ tutti, tranne la frase classica di rimbalzo “U sapia, va sempa a finira accussì”. Il rigore si trasforma così in quella boccata d’ossigeno, quell’iniezione d’adrenalina allo stato puro. Lo sguardo e l’urlo sgozzato di tutti si paralizzano in quella parata. Ecco il terzo goal e per la prima volta lo smarrimento diviene totale: non una scusa per lo scempio che si realizzava, non la frase di rito “Venduti venduti”, solo qualche piccola e flebile imprecazione. Non aveva più senso dire nulla per una debacle di quelle proporzioni. Vorrei raccontarvi altre situazioni goliardiche, ma i simpatici episodi, le battute, i commenti, sono evaporati al sole. E’ calato d’improvviso un avvilimento rassegnato. Eravamo tutti consapevoli e con l’animo incatramato, che amare una squadra di calcio come il Catanzaro comporta munirsi di cuore grande che difficilmente potrà battere in tutta il suo possente splendore; da troppo tempo ormai si limita a sopravvivere al minimo dei battiti giallorossi.

L’ultima frase degna di nota nel silenzio più totale del rientro a casa:

 “Devo cambiare sport, basta calcio, duva u fannu u campionatu e bocci a Catanzaro?”

 

Giuseppe Corasaniti

Autore

Fabrizio Scarfone

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