COMMENTO – L’ ipocrisia in scena, ricordo di Nino Gemelli

riceviamo e pubblichiamo

Ho atteso che si attutisse almeno un poco anche questa seconda tragica tempesta (dopo quella di Ciccio Viapiana del 26 aprile 2006) abbattutasi lo scorso 1° gennaio nel mondo della cultura dialettale catanzarese, con la scomparsa del mio grande  e fraterno amico Nino Gemelli.

Dei due tragici eventi si sono rimpinzate decine di testate giornalistiche, con interviste e con colonne di commenti disparati, spesso sinceri, dettati dall’umore emozionale sparso dal dolore dei semplici e dal cuore degli onesti catanzaresi che li conobbero e li stimarono.  Purtroppo  però anche con commenti inopportuni,  atti solo all’ipocrita  presenzialismo, alla sola sfilata scenica degli onnipresenti  “politicàntari” (ho testè coniato questo termine) che continuano a darla a bere ai soliti  sprovveduti “normocàntari” e “supercàntari” della “piccola” Catanzaro.

Nino Gemelli, col quale ho collaborato e del quale mi onoro di essere l’autore di uno dei più bei “lavori” da lui diretti e interpretati (Jofhà), credo di averlo conosciuto abbastanza bene, non soltanto dal lato artistico ma anche da quello umano. Nino aveva chiara l’idea di cosa sarebbe successo dopo la sua morte. Per esempio già sapeva, considerando il totale silenzio e il totale abbandono in cui a suo tempo vide obnubilata la cara Memoria del suddetto Ciccio Viapiana, cosa sarebbe successo  anche dopo la “sua” dipartita.

“Che cosa succederà?”, gli domandai una volta.

Nulla! – mi rispose –  Faranno solo parole, parole, parole… e poi… cu’ si vitta, si vitta! Ci saranno …ciangiulini a siccu… e gentareddhi cchi s’acconzanu arret’u culu de’ cronisti ’ma mustranu u dolura cchi non hannu… Poi unu o dui artìculi ‘e giornala… dui o tri intervisti a li pipituni politicanti  cchi non ni consideraru mai a nuatri cchi facimu teatru dialettala…  Quindi ‘ncuna “targa”… ‘ncuna missa… ma poi ognunu pp’e fatti soi… ‘nzin’all’annu appressu. E dopu dui o tri anni… quandu u ricordu va a morira…. ti salutu ped’e fhìcu!”

Queste parole, ad onor del vero, sono mie, ma credetemi, rispecchiano in tutto e per tutto l’idea che Nino e Ciccio avevano riguardo ai moltissimi gestori della  “cosa pubblica” catanzarese. 

In un prossimo futuro vedremo chi, e quanti, saranno i galantuomini che per davvero vorranno onorare la memoria Ciccio Viapiana e di Nino Gemelli, questi due grandi artisti che hanno speso la loro vita per la cultura dialettale e per il teatro catanzarese.

Intanto già da adesso si cavalca la tigre: c’è chi si propone, sotto velate spoglie e tra una lacrimuccia e l’altra, alla conduzione di imprese teatrali di tipo “dialettale”… c’è chi si mette in prima linea e gioca all’amico del giaguaro dicendo: “….era amicu meu…” oppure “…eu mi criscivi ccu’ Ninu Gemelli!… Cicciu Viapiana mi tinna nte’ vrazzi”… “Eu non mi perdivi mai na commedia… mai na leziona ‘e teatru!”…eccetera.

A tal proposito vi voglio raccontare un piccolo aneddoto:

Ad un sedicente artista, uno che oggi si mostra propugnatore della cultura dialettale e del teatro catanzarese (che per qualche periodo ebbe la fortuna di stare nel “giro” del teatro del Laboratorio Teatro Azione)  e che nei giorni scorsi enfatizzava sé medesimo davanti ad un microfono vantando mille serate campali nei paesi della Calabria Citra e di quella Ultra, Nino gli chiese una volta se, in tema teatrale, il nome Scarpetta gli dicesse qualcosa. L’aitante “artista” rispose così (vi assicuro che è la verità): “A mia mi parri ‘e “scarpetta”?…Comu sacciu ammogghjàra eu, u pana nto’ sucu d’a sàrza… non ‘u sapa fara nuddhu!

Molti di codesti ipocriti, oggi accampano meriti e conoscenze artistiche che non hanno o che non hanno mai saputo maturare, pur avendo goduto di grandi opportunità… Vantano crediti artistici curriculari inesistenti solo per aver assistito a qualche “lezione di teatro” ma senza mai aver letto una sola opera teatrale, nè di Nino e nè di Altri. Fatto è che oggi più di uno finge accorato dolore, e forse addirittura qualcuno di questi spera in cuor suo che anche l’altro “grande”, Mico Ammendolia (grande in bravura, grande in umiltà e …purtroppo… grande anche di età e che fu il primo e vero “promoter” del suo “amico-fratello Nino”) lasci anche lui la “piazza” una volta per sempre, per dar spazio a castelli di sabbia, a saltimbanchi bravi soltanto a profferire in scena  la parola “cazzo” con quattro zeta. Codesti illusi “capicomici”, non si sono mai chiesto il vero motivo della chiusura del “Teatro di Nino Gemelli”, non si sono mai posta la domanda se Nino lo abbia fatto per una sua volontà o se non per essere stato abbandonato dai tanti maggiorenti, gli stessi che oggi fanno finta di compiangerlo. Costoro, codesti coscienti o incoscienti “ignoranti”, con bramosia, giocheranno ancora al tavolo verde del bluff con le loro carte false; giocheranno con la stessa maniera con cui “si pulizzàru u teatru ‘e Ninu e si pulizzaru ‘a memoria ‘e Cicciu Viapiana”, con altri e tanti “giocatori-ignoranti”  (i suddetti politicàntari) i quali faranno di tutte le erbe un fascio.

Codesti avventizi della Cultura catanzarese, mescoleranno le trivialità e la rozzezza con il Vocabolario catanzarese, confonderanno la barzelletta sguaiata con il Teatro dialettale, assoceranno il grido dei mostacciolai da strada con la Poesia dialettale, assimileranno le avventure di Talianeddhu cc’a cuda con la Storia di Catanzaro.

Costoro, che della cultura catanzarese ne hanno fatto un mercimonio con fole volgari (volgari nel senso meno nobile del termine) o con qualche battuta da cabaret sul loro nonno rimbambito o sulla massaia col carrello della spesa o sulla verginella cc’a panza…,   codesti sedicenti “cultori” affratelleranno la seta catanzarese con il panettone padano, metteranno sullo stesso livello la tenerezza del poetico “caldarrostaio” (vedi “Turuzzu e Luvìcia”) con qualche bidonesca opera teatrale importata da altre città…da altri dialetti… e tradotta in… “catanza-cricoto”.

Costoro  livelleranno il profondo e romantico  “ vecchiu patra catanzarisa” (vedi “A porta ‘e l’ortu”) alla stregua di qualche avventura teatrale di una cocotta da strada che si fa beffe di medici cretini, di uomini sessualmente tarati, di vicine ‘e peditòzzulu pettegole o di “nipotini” scilinguati e deficienti.

In quell’imminente e incalzante “futuro”, accadrà che  a causa dell’ignoranza di pochi, le fatiche dei molti e remoti maestri vernacolari  (i vari Patari, Butera, Butitta, Casalinuovo, Castagna,  ecc.) e quella degli attuali miei e vostri contemporanei  (Sorrenti, Michienzi, Verdegiglio, Zingaropoli, ecc.), saranno del tutto vanificate: succederà che a far Teatro dialettale e Poesia dialettale ci saranno  solo autori e attori che scadranno come le mozzarelle al sole d’agosto… improvvisati drammaturghi che passeranno dalla manipola alla penna  o dal bancone da mortadellaro al proscenio, in un batter d’occhio. Accadrà che il saper raccontare barzellette avrà il significato di “Cultura”.

Succederà quindi che tutto quel che è stato insegnato da Ciccio Viapiana e da Nino Gemelli sarà vanificato, sarà mercanteggiato, e non saranno ricordati dagli “…euforici eredi”, anzi il loro originario-acquisito “talento” continuerà a perdersi, la loro originaria umiltà si scioglierà come neve al sole… ma il loro sarà solo un eterno ripetersi di battute insulse… e spettacolo dopo spettacolo… sarà una messa in scena “…de’ soliti fissarij!”

Accadrà che le  “lezioni di teatro” dei succitati grandi scomparsi, rimarranno solo in forma di credito curriculare per il favorente di turno assiso in poltrona (i succitati politicàntari) e per parare il deretano di  quanti oggi stanno riducendo il Teatro, la Cultura, la Storia e il Dialetto catanzarese ad una  nullità, ad una sfilata carnascialesca di cavalieri della seta in scarpe da tennis e armati di spada e di cellulare… Ridurranno il teatro dialettale ad uno strumento promozionale per  gli immancabili bancarellari di torroncini, di mortadelle tailandesi e…formaggi do’ quagghju ‘e Papanici.

Il teatro dialettale catanzarese diverrà solo svago per i deboli di prostata seduti alle panchine pubbliche d’a chjàzza, panchine untuose di rèhjati virdarama e maleodoranti di “prodotto da minzione clandestina”.

Ma Catanzaro non deve essere questa, Santo Dio! Catanzaro non può essere soltanto morzello o peperoncino… non può essere soltanto presepi viventi, stands da mutandine rosse, trampolieri, mostacciolai e salsicce alla brace! Catanzaro è e deve essere ben altro!

Per fortuna, una pulce nell’orecchio mi solletica, o meglio mi suscita tuttavia una nuova speranza: una speranza che solidifica e che rinsalda i sentimenti di una vera catanzaresità, per la rinascita di una vera cultura locale.

Questa speranza, questa fiducia si chiama “partecipazione”, “collaborazione”, “progetto”; però si chiama anche “rischio”, “sapersi mettere in gioco”; ma soprattutto, si chiama  “onestà”.

La mia speranza perché si possano onorare per davvero le memorie di  Nino Gemelli e di Ciccio Viapiana è quella di veder nascere un teatro dialettale catanzarese vero, basato sulla vera cultura e non sugli schiamazzi e sulle volgarità stradaiole. Questa speranza, condivisa  da molti anni con numerosissimi, autentici e colti, artisti del dialetto e della ricerca storica catanzarese, confina con una certezza quasi assoluta: quella del non dover mai dare (a questa ardua “impresa”, a questa ulteriore “promessa” dei nostri amministratori)  un “titolo” uguale a quello che fu il titolo della prima commedia dialettale in assoluto del grande Nino Gemelli:  …‘A scacammi n’atra!”

Sono molto fiducioso nell’attuale Consiglio comunale, e sono dell’idea  che, almeno questa volta, l’eccellente sindaco Rosario Olivo, l’intero suo staff amministrativo, il Consiglio comunale tutto, la Giunta assessorile e l’attuale gruppo di dirigenza del Politeama (cordata di eccellenti cultori, di “catanzaresissimi”, che conoscono molto bene il proprio mestiere: Furriolo, Argirò, Michienzi, Panzarella, Foglietti, ecc., non escludendo gli altri) sapranno muoversi con acume e con obiettività, e sapranno ridare alla città di Catanzaro la dignità di città di cultura anche in tema di produzione di Teatro Dialettale e di Scuola di Dialetto, soffermandosi non su come e su quanto deve ridere il Pubblico catanzarese (così come si è fatto negli ultimi anni), ma su cosa dargli in merito alla sua storia, al suo etimo, alla sua civiltà, così come, giustamente e sapientemente, mi hanno sempre lasciato ad intendere (da quel che leggo su giornali, riviste e libri, o dalle mie conoscenze e dalle mie frequentazioni, e indipendentemente dalle loro posizioni politiche o tipologia culturale) i vari Pippo Capellupo, Franco Pregoni, Giovanni Marziano, Salvatore Blasco, Gianni Bruni, Vittorio Sorrenti, Franco Cimino, Gioacchino Lamanna, Corrado Iannino, Antonio Romani, Nunzio Lacquaniti, Armando Vitale, Paolo Abramo, Emilio Rocca, Angelo Di Lieto, Donato Veraldi, Giuseppe De Gaetano, e tantissimi altri illustri catanzaresi: centinaia  di veri cultori che qui ovviamente non posso elencare, tutti sinceri amanti di Catanzaro e della sua gente.

Essere capoluogo di regione implica, per chi è vero catanzarese, non solo il dovere  di sedersi alla guida, ma anche di saper tenere la strada… di rispettare il codice stradale e… stando attenti al consumo del “…carburante”… corredandosi di un buon piccolo ma affidabile e funzionante motore, di una tabella di marcia e di meccanici di fiducia abili e capaci, che sanno guardare alle future generazioni e che non hanno remora ad imbrattarsi le mani di sudato e onesto lavoro, e non di immeritate prebende!

E zittiamolo, una volta per tutte, il catanzarese tipo che propone cialtronerie e scurrilità da postriboli! Facciamo in modo, come cittadini,  che nessuno ci rida alle spalle anche in tema di Culturale dialettale e di Teatro dialettale. Costruiamo un qualcosa che non sia copiato! O magari, impariamo a copiare, ma quantomeno prendendo dalle altre culture il meglio.

Cosa costa erigere un piccolo tempio?… un’agorà da dedicare ai nostri piccoli – ma grandi – uomini: a questi due acquaioli (Nino e Ciccio) che hanno irrorato le radici dall’albero catanzarese, ridandogli vita e nutrendolo con la speranza del sole d’un giorno antico ma nuovo al contempo!?…

Si dia un segno ai loro successori (e ai nostri posteri) di aver quantomeno tentato di neutralizzare i guitti e gli ignoranti, i teatranti-boscaioli della cultura catanzarese armati dell’ascia a doppia del servilismo e dell’arroganza!… Nino Gemelli e Ciccio Viapiana non appartenevano di certo a questa categoria!, anzi sostenevano che: “ppo’ scilu  do’ grassu, u ruffianu licca u culu do’  porcu!

Dopo avermi letto, qualche malevolo dirà che ho parlato per invidia, ma nulla me ne tange: Nino Gemelli e Ciccio Viapiana mi hanno profetizzato anche questo, invitandomi alla prudenza.  Di sicuro avevano ragione, ma purtroppo non sono mai stato, in questo, un loro buon alunno, ma mi consola il fatto che non solo io, ma tanti, tantissimi altri poveri onesti cultori catanzaresi, dovrebbero, insieme al sottoscritto, andare alla scuola della scaltrezza e del “fùttimi dùrcia”: ne otterrebbero vantaggio.

Sarà pure una vana consolazione, ma io porto questa mia testimonianza per amore della verità, e per conto mio, quando il Padreterno mi chiamerà, spero di avere al mio funerale solo gente di cuore che avrà apprezzato, se non il mio piccolo talento e il mio amore per questa città, almeno la mia franchezza. Chi mi apprezza, che mi conosca o no,  si asterrà dall’ omaggiarmi fiori o innalzarmi mausolei (una vostra piccola telefonata in Cielo, a “Don Salvatore”, mi basterà – però non chiedetemi il suo numero di telefono perché non lo conosco…- l’avessi mai saputo avrei avuto più fortuna, e magari  avrei imparato a tacere come ha saputo fare Lui persino quando lo misero in croce).

E allora la mia chiosa su Viapiana e su Gemelli, è questa: io non ho capacità sovrannaturali tali da saper leggere nei cuori altrui. Solo Iddio può farlo. Solo Lui conosce chi sia veramente dispiaciuto della scomparsa di questi due grandi nostri concittadini. Però alcuni di quelli che sino a qualche tempo fa li abbracciavano e li magnificavano con malafede, dovrebbero fare ammenda in silenzio: dovrebbero chiedere intimamente scusa per non aver mai valutato, mai riconosciuto e mai valorizzato, nella vita di questa città, la loro poesia, la loro arte e il loro genio… Fatto questo, dovrebbero poi levarsi di torno… senza presenzialismi… senza interviste… e senza partecipare ad iniziative che avrebbero il sapore della solita beffa in danno dei catanzaresi e della loro cultura.

Catanzaro non la si può avere nel cuore con facilità, con leggerezza e con fini fasulli o errati: di Catanzaro si deve “essere cuore”, che è cosa ben diversa. E quando riusciremo ad essere veramente un popolo rispettoso della sua storia e dei suoi Figli… quando sconfiggeremo l’invidia tra noi, la maldicenza e l’ignoranza….quando accantoneremo l’arroganza… allora capiremo di averci procurato dolori reciproci inutilmente, capiremo di aver agito da piccoli uomini stupidi, da provincialotti  e non da veri cittadini.

Se abbiamo dignità di popolo, costruiamolo per davvero un teatro dedicato a Nino Gemelli e a Ciccio Viapiana senza però farcene vanaglorioso vanto o prendendoci meriti personali,  ma in piena comunanza, e solo per ringraziarli un poco delle emozioni belle e sincere che ci hanno saputo regalare con la loro umile ma grande arte.

 

Mario Martino

Commediografo e Poeta dialettale

Autore

Redazione

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