ATTUALITA’ – Dove stà la verità? Nelle parole o nei fatti?

riceviamo e pubblichiamo

Non passa giorno che, chi per un motivo chi per un altro, i  mass media, con appelli di vario genere e per conto di enti, istituzioni, partiti, o su richiesta di singoli politici chiedono ai cittadini di avere fiducia nelle istituzioni e nella politica. Mi chiedo come possiamo noi semplici e comuni mortali prestar fede a questi appelli o dare credito ad opinionisti, che si esprimono in base alle esigenze dell’editore o alle proprie convinzioni politiche, quando poi i fatti smentiscono i comunicati e i commenti, che vengono posti alla pubblica attenzione .

Navigando sul Web ho avuto modo di leggere una direttiva  (la n°7 del 30 aprile 2007) del Ministro (LUIGI NICOLAIS) relativa alle riforme e le innovazioni nelle pubbliche amministrazioni.
La direttiva riguarda l’applicazione dei commi 519, 520, 529, e 940 dell’art. 1 della Legge n.296 del 27/12/2006 ( Legge finanziaria) in materia di stabilizzazione e proroga dei contratti a tempo determinato nonché le riserve in favore di soggetti con incarichi di collaborazione.

La stessa a pagina 9 richiamando l’articolo 36 del decreto legge n°4 del 2006 così recita: “Tale articolo dispone che i datori di lavoro pubblici possono ricorrere, in particolare, ai contratti a tempo determinato solo per esigenze temporanee  ed eccezionali e previo espletamento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea”.

Nella stessa sono indicati  presupposti e requisiti per accedere alle procedure di stabilizzazione del personale, non appartenente all’area dirigenziale, utilizzato con contratti di natura temporanea, con riferimento a bisogni permanenti dell’amministrazione.

Tra i requisiti richiesti dalla direttiva di che trattasi particolare rilevanza riveste l’aver maturato tre anni di servizio nella medesima amministrazione.

Il requisito di cui sopra è stato, però, disatteso e completamente ignorato dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le Risorse Strumentali e Finanziarie,  in un bando di concorso, con scadenza 08 ottobre 2007, per titoli ed esami per l’assunzione di complessive 650 unità di persone nel profilo professionale di coadiutore amministrativo contabile, area funzionale B, posizione economica B1, con contratto a tempo determinato, per le esigenze dello Sportello Unico per l’Immigrazione presso le Prefetture – Uffici territoriali del  Governo nonché degli uffici delle Questure. Bando pubblicato sulla G.U. n°71 del 07/09/2007.In quest’ultimo bando, pur richiamando, nella premessa al 21 VISTO, la Legge n° 296 non è considerata per niente.
All’articolo 1, comma secondo del Bando sono indicati i requisiti richiesti per l’ammissione e,  alla lettera a, precisa che bisogna aver svolto, con contratto di lavoro temporaneo, per un periodo di almeno sei mesi anche non continuativi, attività connesse all’attuazione delle norme in materia di Immigrazione presso le Amministrazioni dello Stato.

Non è difficile rilevare l’evidente contraddizione (per usare un eufemismo) tra le regole fissate dalla Direttiva n° 7/2007 (tre anni di servizio maturato presso la stessa amministrazione) ed  il Bando di Concorso di cui sopra (richiesti sei mesi di etc. etc.).

Ad ogni buon fine le modalità del Bando sembrano richiamare vecchie logiche, quasi sia stato “pensato” ad hoc per  favorire quanti, con un precedente dispositivo, nel 2003 hanno prestato servizio in qualità di lavoratori interinali presso le Prefetture, Questure e Direzioni Provinciali del Lavoro.                         
Del resto sono note al colto ed all’inclita le “procedure” per le assunzioni di lavoratori interinali, che scaturiscono da segnalazioni a quelle agenzie, che poi dovranno fornire il personale per l’espletamento di servizi vari presso politici e quant’altro, segnalazioni che di fatto favoriscono una sorta di moderno nepotismo, in quanto riservate a parenti, procacciatori di voti, amici ed affini.
Tutto ciò si evince dal fatto che il Bando in effetti è riservato ad una sola categoria di interinali, trascurando tutti gli altri e quanti, ad esempio, lavorano per qualche spicciolo nei vari call – center o che da anni risultano in attesa di prima occupazione o, ancora, quanti, pur avendo avuto la possibilità di  un posto di lavoro,  vengono rispediti al mittente per mancanza di precedenti esperienze lavorative, con l’invito a ripresentarsi dopo avere effettuato un certo tirocinio  altrove.

E le organizzazioni sindacali?

Già, i sindacati che dovrebbero alzare la voce, che dovrebbero tutelare e garantire quelle categorie, che non hanno altre possibilità di farsi ascoltare, di reclamare i propri diritti se non attraverso gli organismi a ciò deputati?

Sembrano quasi spariti dalla scena in nome di una pax che li ha trasformati in una specie di ambiguo, inspiegabile  e becero supporto di partiti, politici e governanti, tutti uniti alla ricerca di alchimie varie tendenti a garantire i privilegi dei privilegiati, piuttosto che i diritti dei lavoratori.

Già, perché aiutare i privilegiati a mantenere, anzi ad accrescere i propri privilegi consente a queste pseudo organizzazioni di partecipare alla spartizione della torta dei benefici.

Da anni si fa un gran parlare di prima e di seconda repubblica, un continuo bla bla bla mediatico, che tende a santificare la seconda e a stigmatizzare i “misfatti” della prima, una commedia i cui attori (vecchi protagonisti e figli d’arte) si affannano a pontificare dagli schermi televisivi o servendosi di testate giornalistiche compiacenti, un fiume di parole puntualmente smentite dai fatti, che finiscono  per evidenziare come la gestione verticistica, personalistica e clientelare della cosa pubblica  tipica della prima repubblica non siano estranei alla seconda.

Sarà forse mutato il modo, ma non la sostanza, l’arroganza con cui i poteri forti continuano ad imperversare sulla pelle dei ceti meno protetti.

Non v’è da meravigliarsi se poi, cavalcando la tigre dello scontento  popolare, proliferano movimenti incoraggiati da oscuri personaggi, più o meno famosi, più o meno spregiudicati, che i mestieranti della politica amano definire “antipolitica”, dimenticando che, in fondo, l’antipolitica altro non è se non una forma singolare ed alquanto atipica di fare politica.
Per concludere, ritengo di poter affermare con assoluta certezza, che l’amletico dubbio sulla ricerca della verità non abbia ragione di esistere, dal momento che puntualmente i fatti smentiscono le parole, che oramai possono essere considerate solamente una sorta di esercizio lessicale tendente a nascondere, mediante l’uso di quel linguaggio tristemente noto come politichese (altrettanto tristemente noto è il sindacalese) progetti completamente diversi da quelli  propagandati con tanta enfasi.

 GIUSEPPE MELLACE

Autore

Redazione

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